Il fico d’india

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Manduria vanta una posizione centrale che consente di esplorare la Puglia in lungo e in largo. Oltre ad essere equidistante dalle province di Brindisi, Lecce e Taranto, in meno di 2 ore potrete raggiungere Bari o dal lato opposto, la punta estrema dello stivale: Leuca.

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Il fico d’india, pianta scenografica dai frutti golosi e nutrienti ha natali messicani. Adottata dal Salento è diventata ormai la pianta che più rappresenta la nostra terra, per questo non potevamo non dedicargli una camera del nostro B&B.

Per la realizzazione della tela protagonista di questa camera abbiamo scelto di utilizzare gli ingredienti di uno dei piatti tipici della nostra terra: orecchiette con le cime di rapa. Le pale del fico d’india sono state realizzate con le cime, i frutti con i peperoncini e a completare delle orecchiette al primitivo per rappresentare la terra rossa dei nostri campi.

(Per la ricetta delle ORECCHIETTE CON LE CIME DI RAPA, CLICCA QUI)

Muretti a secco e pale di fichi d’india che si stagliano nel cielo con fiori colorati che diventeranno poi succosi frutti che sostentavano i contadini nelle calde e dure giornate di lavoro nei campi.

Papà ci racconta che le giornate in campagna scorrevano piuttosto lentamente: in particolare sembravano molto lunghe le prime ore del pomeriggio, quando lui, gli zii e i figli dei vicini erano costretti a stare in casa e ad andare a letto.

“Il letto è rosa: se non si dorme, si riposa” era solita dire la nonna, ripetendo un vecchio proverbio.
E papà e gli zii erano obbligati a stare a letto, in silenzio, almeno fin quando non sentivano che si alzava il nonno, che in verità non vi rimaneva per più di tre quarti d’ora, al massimo un’ora nei giorni di caldo rovente.

Al calar del sole, papà, gli zii e i figli dei vicini, si organizzavano e davano inizio ai loro giochi, avviando quasi una corsa contro il tempo.
Spesso i giochi consistevano in una semplice altalena, realizzata dal nonno con una tavola piatta tenuta da una fune doppia legata a un ramo robusto di un albero di fico; oppure costruivano “casette” a schiera ai margini della strada, utilizzando pietre e pale di fichi d’india.
Erano poi molto attenti a non beccarsi le spine.
Quando il sole cominciava a calare, bisognava innaffiare l’orto, per consentire alle piante di godere più a lungo dell’acqua con l’aria fresca della notte. Questo per loro era un gioco, ma lo svolgevano con una tale puntualità che nell’orto le piante crescevano rigogliose, cacciavano i fiori e davano i loro frutti. Tra le diverse piante, quelle del fico d’india li entusiasmava particolarmente.
Trovavano incredibile come da delle piante grasse spinose, potessero spuntare dei bellissimi fiori gialli che poi sarebbero diventati dei deliziosi frutti da gustare durante l’estate.
Allora li raccoglievano carichi di orgoglio mostrandoli ai loro genitori, prima di procedere alla pulitura, che era quasi sempre compito del nonno.
Talvolta accadeva di tirarli fuori la sera, dopocena, quando le famiglie sedevano conversando al chiaro di luna. Ma non finiva qui.
In estate, periodo proficuo per la preparazione delle conserve, tra la fine di agosto e tutto settembre, si raccoglievano un po’ alla volta delle pale di fichi d’india, piene zeppe di frutti coloratissimi, che venivano appese su alcuni dei muri delle cantine in modo tale da conservarli per tutto il periodo invernale, così come “le crone” di pomodori.
Papà ci racconta che la cantina dei nonni, tra pomodori secchi e “a pennula” , fichi d’ India e fichi secchi, e tante altre prelibatezze, diventava per lui il posto più bello dove nascondersi per poter passare del tempo e poter rubare di tanto in tanto , sotto gli occhi vigili della nonna, qualche prelibatezza.

Martina Lenti
Martina Lenti
Editrice Paléat

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