Al calar del sole, papà, gli zii e i figli dei vicini, si organizzavano e davano inizio ai loro giochi, avviando quasi una corsa contro il tempo.
Spesso i giochi consistevano in una semplice altalena, realizzata dal nonno con una tavola piatta tenuta da una fune doppia legata a un ramo robusto di un albero di fico; oppure costruivano “casette” a schiera ai margini della strada, utilizzando pietre e pale di fichi d’india.
Erano poi molto attenti a non beccarsi le spine.
Quando il sole cominciava a calare, bisognava innaffiare l’orto, per consentire alle piante di godere più a lungo dell’acqua con l’aria fresca della notte. Questo per loro era un gioco, ma lo svolgevano con una tale puntualità che nell’orto le piante crescevano rigogliose, cacciavano i fiori e davano i loro frutti. Tra le diverse piante, quelle del fico d’india li entusiasmava particolarmente.
Trovavano incredibile come da delle piante grasse spinose, potessero spuntare dei bellissimi fiori gialli che poi sarebbero diventati dei deliziosi frutti da gustare durante l’estate.
Allora li raccoglievano carichi di orgoglio mostrandoli ai loro genitori, prima di procedere alla pulitura, che era quasi sempre compito del nonno.
Talvolta accadeva di tirarli fuori la sera, dopocena, quando le famiglie sedevano conversando al chiaro di luna. Ma non finiva qui.
In estate, periodo proficuo per la preparazione delle conserve, tra la fine di agosto e tutto settembre, si raccoglievano un po’ alla volta delle pale di fichi d’india, piene zeppe di frutti coloratissimi, che venivano appese su alcuni dei muri delle cantine in modo tale da conservarli per tutto il periodo invernale, così come “le crone” di pomodori.
Papà ci racconta che la cantina dei nonni, tra pomodori secchi e “a pennula” , fichi d’ India e fichi secchi, e tante altre prelibatezze, diventava per lui il posto più bello dove nascondersi per poter passare del tempo e poter rubare di tanto in tanto , sotto gli occhi vigili della nonna, qualche prelibatezza.